mercoledì 19 luglio 2017

Quando un dio ti punisce.

"E ora so
 che non so più
 desiderare di peggio.
 So anche che
 quando un dio ti punisce
 avvera i tuoi
 più sudici desideri..."

Sono passati davvero tanti anni, ma mi ritrovo ancora in questa canzone.



giovedì 6 luglio 2017

Elogio della Provincia

Amo la Provincia.
Soprattutto la provincia profonda.
Quella di quando prendi una statale per sfuggire al caos in autostrada e ti ritrovi a passare vicino a paesi che si chiamano "Ravarino" o "Palata Pepoli" o "Omomorto" e a parcheggiare di fianco ristoranti su canali non ben precisati, dove, sulle tende scolorite, si legge in caratteri consumati "Specialità anguille e rane".
Quella in cui, in ristoranti di questo tipo, usa ancora che non ci sia un menù scritto, ma che sia il cameriere ad elencartelo, che ti dica "c'abbiamo il vino della casa, quello buono!", che sedie e tavoli abbiano dai 30 ai 40 anni suonati.
Quella dei bar anni '70,  di cui il "Bar Laica" di Radiofreccia è l'archetipo, dove c'è mezzo paese: i vecchi in pianta stabile, i bambini per le patatine e le cicche, i giovani per sparare cazzate e quelli delle età mezzo per i caffè, le chiacchiere, i pettegolezzi e dove, in una vetrina, fa bella mostra di sè sempre un panino rimasto o una pasta parente stretta della famosa "Luisona" del Benni.
In questi bar puoi trovare prodotti ormai estinti, come marche di gelato sconosciute al grande pubblico o la spuma nera o bianca e un barista o una barista che riesce a farti dire la storia della tua vita in meno di 10 minuti.
In quei luoghi si respira la provincia del matto del paese,l'omino che dà su i nervi a tutti, ma che tutti difenderebbero se un forestiero gli dicesse qualcosa; quella del negozio dove trovi di tutto: dalle ricariche telefoniche al sapone da bucato; quella in cui i personaggi più "famosi" li conoscono tutti e, di solito, in mezzo c'è sempre uno che ha ambizioni da artista, un carabiniere/guardia/ poliziotto, uno che sa fare un po' di tutto e via così.
Quei posti in cui staresti ore ad ascoltare cosa si dice la gente, a guardarla passare, a capire come funzionano le dinamiche del fuoridalmondo.
Questa provincia il Liga l'ha descritta benissimo in "Fuori e dentro il borgo" e ottimamente in Radiofreccia.
Ma ha fatto un bonsai, un condesato, un Bignami di tutto ciò in una delle sue canzoni più geniali.
In quella canzone la provincia la vedi, la tocchi, la annusi intorno ad un bar e i personaggi ci sono tutti, ma proprio tutti; e allora ti viene voglia di chiedere dove sia questo bar, ti viene voglia di entrarci, perchè vuoi giocare a biliardino e far casino con le palline, perchè vuoi sentire passare Rombo, perchè vuoi sorridere davanti alle dita alzate del Cavaliere.
Insomma, vorresti diventare, almeno per un momento, una comparsa in quel piccolo mondo, una figura di quell'affresco perfetto, un protagonista minimo in mezzo a tutto il kitch di quel circo di esseri umani che non sono altro che, in piccolo, un gran pezzo di Italia.




martedì 4 luglio 2017

"Ti guardo che mi guardi / non so se salutarti / o fare finta che non sia già tardi..."

Stimato Signore,
Le do del Lei, perché tra noi così abbiamo sempre fatto, per dovere, per convenzione e perché, col senno del poi, questa giusta distanza è indubbiamente la cosa migliore.
Per un po' ci siamo ritrovati a "condividere pensieri, opinioni, scritti, canzoni" e, inutile negarlo, ci trovavamo bene nel farlo.
Poi io mi sono accorta che, probabilmente, avevo travalicato un confine invisibile e che rischiavo di diventare fastidiosa e inopportuna. 
Così Le ho chiesto scusa di questa mia invadenza, scusa per le mie sciocchezze "d'amore o di morte che fossero" (... non ce l'ho fatta a non citar Guccini anche quella volta, e di ciò chiedo venia).
La Sua risposta mi ha quantomeno lasciata basita.
Non pensavo che Lei mi avrebbe mai scritto una cosa del genere, anzi, mi sembrava di essere io quella che era partita in corsa a scambiare mail e messaggi.
Però quello che mi ha lasciata ancora più esterrefatta è stata la Sua fuga.
E sì, caro Signore, la Sua fuga.
Quando ci siamo incrociati con gli sguardi, in mezzo a tutta quella gente, Lei è fuggito.
Andiamo, non mi venga a dire che è stato un caso, che non era voluto.
Lei si è girato a guardare se io ero ancora dietro ai vetri, mi ha visto avvicinarmi all'uscita ed è scappato veloce sotto la pioggia battente, via, correndo.
Una volta salito in auto, ha persino girato ancora la testa per vedere dove ero io, anziché guardare avanti, come era naturale fare.
Doveva stare tranquillo.
Al massimo sarei venuta a stringerLe la mano e augurarLe buone vacanze, come ho fatto con tante persone presenti in quel luogo. 
Nulla più. 
Non L'avrei rincorsa, non L'avrei disturbata, non L'avrei turbata oltre.
Quello che mi chiedo adesso è: da chi o da cosa Lei scappava?
Da me? Dalla situazione? Da se stesso?
In fondo non mi serve saperlo, anzi, direi proprio che è meglio, per l'economia delle cose, che io proprio non lo sappia.
Va bene così.
Facciamo finta di niente e, quando le circostanze ci costringeranno a parlarci, sforziamoci di essere gli adulti che ci rifiutiamo di essere (cosa che, in fondo, lo sappiamo bene entrambi, ci fa sentire vivi), almeno per quel quarto d'ora, quella mezz'ora, quell'ora che ci viene richiesta.
Poi ognuno potrà tirare fuori dalle tasche i suoi eventuali turbamenti, guardarli, rifletterci, sezionarli, affezionarcisi, buttarli o rimetterli via, ma con la coscienza di aver fatto del suo meglio per evitare di farsi e fare troppo male.